Umberto Martuscelli intervista Valentina Truppa

di Umberto Martuscelli

Valentina Truppa uguale dressage: sì, certo. Ma c’è un dato nello strabordante curriculum della campionessa azzurra (due Olimpiadi, tra l’altro…) che prescinde dalla specialità e che ‘taglia’ trasversalmente dressage e salto ostacoli. Questo: Valentina Truppa è stata l’unica tra le amazzoni e tra i cavalieri azzurri delle tre discipline olimpiche capace di raggiungere il podio di una finale di Coppa del Mondo (cioè dressage e salto ostacoli appunto, dato che per il completo la Coppa del Mondo non esiste). Già, infatti: lei si è classificata al 3° posto nel 2012 a ‘S-Hertogenbosch (Olanda) in sella a Eremo del Castegno alle spalle di Adelinde Cornelissen su Parzival e di Helen Langehanenberg su Damon Hill… ma soprattutto davanti alla regina del dressage mondiale, cioè Isabell Werth (al 4° posto su El Santo).

Terminata la grande epopea agonistica dei suoi formidabili Chablis ed Eremo del Castegno, Valentina Truppa ha dato avvio a una fase di ricostruzione del suo parco cavalli di punta: ciò ha voluto dire rimanere lontano dal grande sport internazionale per un certo periodo, né più né meno come accade perfino ai più grandi e consacrati fuoriclasse di qualunque specialità. A ben vedere è il bello del nostro sport: ‘costruire’ nuovi compagni di gara è una delle attività più affascinanti, stimolanti e infine gratificanti per chiunque possa definirsi donna o uomo di cavalli, prima ancora che amazzone o cavaliere. Come è il caso di Valentina Truppa.

«Diciamo che adesso sta iniziando la terza parte della mia carriera, dopo quella giovanile da juniores e da young rider, e quella iniziale da seniores con Chablis e con Eremo. Adesso ho due cavalli che penso saranno i protagonisti di questa terza parte: Zeus di 9 anni e Smile di Fonteabeti di 10».

Quale livello di preparazione hanno raggiunto attualmente?

«Penso che entrambi esordiranno in Gran Premio quest’anno, chi prima chi dopo (nel frattempo Smile ha esordito in Grand Prix in una competizione nazionale) … Certamente saranno i miei compagni di avventure sportive per i prossimi cinque o sei anni».

Non essere più stata protagonista di gare internazionali ai massimi livelli nel corso degli ultimi tempi ha rappresentato per lei una privazione? Oppure un fatto considerato come fisiologico e quindi… normale?

«Una privazione certamente no. Noi lavoriamo sempre sui cavalli giovani, ma è un’attività che richiede il suo tempo. Se poi aggiungiamo che abbiamo vissuto due anni molto difficili tra Covid e rinopolmonite… insomma, c’è stato un rallentamento ulteriore sui programmi agonistici».

Quindi un momento di transizione.

«Esatto, di transizione, di passaggio da una fase all’altra. Bisogna considerare inoltre che quando Chablis ed Eremo erano sul finire della loro carriera Zeus e Smile stavano iniziando le prove riservate ai 4 e 5 anni, quindi c’erano già».

Portare ad alto livello un cavallo montandolo fin da giovanissimo deve dare una soddisfazione magnifica…

«Assolutamente. Noi non comperiamo cavalli adulti e già fatti: e se anche avessimo la possibilità di farlo, beh… non lo faremmo comunque. Diciamo che tra Chablis/Eremo e Zeus/Smile ci sono stati anche altri cavalli, ma come ben sappiamo non tutti quelli sui quali si punta poi arrivano fino al livello di Gran Premio: alcuni li ho portati avanti nel lavoro e poi mi sono resa conto che non avevano il talento per arrivare fin lì, o comunque per raggiungere il livello che serviva a me, e che quindi sono stati poi dati a fida o ceduti. Anche per questo ho avuto un piccolo momento di vuoto generazionale, peraltro senza grandi effetti concreti considerando i due anni di stop dovuti alla pandemia».

A prescindere da tutto questo, la dimensione agonistica del suo sport è qualcosa che la gratifica… qualcosa di cui lei ha bisogno, qualcosa che ricerca?

«Sì, sono una che patisce molto stando troppo tempo ferma a casa. Come dice sempre mio papà, io do il mio meglio in gara piuttosto che a casa… Io sono un’agonista, mi piace la competizione, mi piace mettermi alla prova, mi piace il confronto anche solo con me stessa comparando il livello delle mie prestazioni e dei miei risultati. Quando monto a casa… beh, non voglio dire che mi addormento sugli allori, non è questo… però pensi sono a casa, quello che non mi viene oggi lo faccio domani… invece in gara le cose devono venire in quel momento preciso e basta».

Valentina Truppa – Eremo del Castegno Reem Acra FEI World Cup Final 2013 © DigiShots

Quindi la gara le piace.

«Sì, molto. La gara di per sé, indipendentemente dal fatto che si tratti della Coppa del Mondo o del concorsino dietro casa… Anche perché il concorsino dietro casa è quello che ti costruisce per andare poi a fare la Coppa del Mondo: quindi va affrontato con lo stesso impegno, concentrazione e dedizione che si producono nel grande evento».

Lei ormai ha accumulato una grande esperienza sia da un punto di vista agonistico sia di esistenza in generale nel mondo dei cavalli e dello sport: voltandosi indietro cosa vede nella vita di Valentina Truppa? Come valuta il suo tempo vissuto fino a oggi?

«Mi considero uno di quei pochi cavalieri che hanno avuto la fortuna e la capacità di poter fare presto cose che altri non faranno mai in tutta la loro vita. E questo grazie anche a chi mi ha sostenuto e accompagnato come mio papà, la mia famiglia, l’Arma dei Carabinieri e i miei sponsor. Ho vinto medaglie da junior, da young rider, ho fatto due Olimpiadi, ho conquistato un 3° posto nella finale della Coppa del Mondo, ho partecipato a un Campionato del Mondo e non so più nemmeno io a quanti d’Europa, per non parlare poi di concorsi internazionali… e alla fine ho 36 anni, non 60, quindi se si tiene conto che ho iniziato tutto questo quando ne avevo 15 devo ammettere che in vent’anni di cose ne ho fatte parecchie. Spero ovviamente di farne altrettante…».

Tra tutte quelle che ha vissuto quale le ha lasciato l’eredità più importante e significativa?

«Come esperienza di vita di sicuro le due Olimpiadi. Il solo esserci costituisce un traguardo favoloso: certo, vincendo una medaglia lo sarebbe ancor di più, ma se si pensa che ai Giochi partecipano solo i migliori 60 cavalieri in tutto il mondo, beh… io ci sono stata due volte e per me questo vuol dire tantissimo. Invece da un punto di vista agonistico e tecnico in realtà non saprei mettere in risalto una competizione più di un’altra: per fortuna ho montato tantissimi cavalli e con ognuno di loro c’è stata una gara che ha significato più di altre, anche a prescindere dal risultato agonistico. Forse la KUR del World Dressage Master del 2012 a Monaco (CLICCA QUI PER IL VIDEO) perché per ben tre volte il pubblico (tedesco) si è messo ad applaudire a scena aperta e dove ho preso svariati 10 nel piaffè».

Esiste qualcosa nella sua carriera che se non fosse accaduta avrebbe modificato il corso degli eventi?

«Direi la prima medaglia nel Campionato d’Europa juniores con Don Rico nel 2004: da lì è iniziato tutto, è stato l’evento che ha definito la mia figura in un contesto internazionale, peraltro al mio primo anno da Carabiniere».

A proposito di eventi: nel giugno del 2015 lei è rimasta vittima di un gravissimo incidente, fortunatamente superato. Cosa le è rimasto di quel terribile periodo?

«Io non mi ricordo niente e ringrazio il cielo per questo. Ricordo il prima e il dopo, ma niente di quello che è successo. Per fortuna, devo dire: perché una volta sistemato tutto ho potuto rimontare in sella come se nulla fosse accaduto. Non è stato facile, però: c’è voluto del tempo ma alla fine si è risolto tutto per il meglio e io sono tornata esattamente come prima. Detto ciò, sono anche convinta di una cosa: chi fa uno sport come il nostro, o come lo sci o come l’automobilismo, deve mettere in preventivo che prima o poi un incidente potrebbe accadere. Puoi stare attento quanto vuoi, avere il casco come l’avevo io, e tutto quanto: però alla fine può succedere. Se si vogliono evitare gli infortuni ci si dedica, per così dire, al gioco degli scacchi».

Parlando di inizio e di sviluppo della sua carriera non si può non dire del ruolo che ha avuto per lei suo papà Vincenzo.

«Ah, beh… lui è la persona che mi ha messo in sella e che mi ha inserito in questo mondo. Fondamentale quindi».

©Sergio Pancotti

Oggi però lei è una donna adulta che ha la sua autonomia sotto tutti i punti di vista: è quindi cambiato qualcosa nel rapporto con suo padre rispetto al più recente passato?

«Bisogna partire da un presupposto indiscutibile: lui ha il ruolo di istruttore e giudice e io quello di allieva. L’esperienza di mio papà è pur sempre più ampia e più profonda della mia, non foss’altro che per una semplice questione anagrafica. Però a differenza di quando io avevo 15 e poi 18 e poi 20 anni adesso il nostro è un rapporto di confronto, un confronto sulla base di quello che lui vede e sente da terra e di quello che io vedo e sento in sella. È un confronto di esperienze: quella che mio padre ha come giudice e istruttore e tecnico e quella che io forse ho un po’ più di lui come cavaliere. Mio padre stesso riconosce che come cavaliere ho fatto più io di lui in proporzione, quindi adesso siamo in grado di dare un grande apporto alla discussione su qualsiasi tema a seconda della capacità ed esperienza di ciascuno. Adesso lavoriamo così».

Bello vivere un rapporto del genere…

«Bellissimo. Anche perché rispetto a solo una decina di anni fa, io per l’appunto ho molta più libertà di decidere circa le tempistiche, le modalità di lavoro dei cavalli, il tipo di impegno… ».

A proposito di questo: come è impostata oggi l’organizzazione del vostro centro ippico?

«Attualmente il numero degli allievi è molto calato rispetto ad alcuni anni fa quando ne avevamo parecchi: c’è chi ha smesso, chi ha venduto il cavallo, chi ha deciso di fare la mamma… Ma ciò è anche dovuto a nostre decisioni; infatti non avremmo nemmeno più il tempo materiale per poterli seguire perché adesso mi dedico molto all’insegnamento lontano da casa: faccio alcuni stage, ho cominciato a lavorare un po’ per la Fise, faccio gli esami agli istruttori, da due anni sono il tecnico del settore pony e mio padre è spesso via a giudicare all’estero… Diciamo che anche dal punto di vista del lavoro sono entrata nella terza parte della mia vita! Per fortuna ho sempre con me Micol Rustignoli che oltre a montare il suo cavallo si occupa anche dei miei cavalli giovani».

Le piace insegnare? Come vive il suo rapporto con l’istruzione?

«Mi piace molto mettere a disposizione di altri quello che io ho imparato negli anni grazie a mio papà e alle esperienze che ho vissuto personalmente. Mi piacerebbe che qualcun altro potesse fare il mio stesso cammino: certo, parliamo di giovani e giovanissimi perché la mia fascia d’età va dai 12 ai 16 anni, comunque mai sopra i 18».

Nella dinamica dell’insegnamento si sente gratificata? Sente di riuscire a trasmettere quello che lei come amazzone ha dentro se stessa?

«In linea di massima direi di sì. Poi quando in uno stage ti trovi davanti a dieci persone non è detto che tutte e dieci riescano a lavorare come tu vorresti farle lavorare, però il solo fatto che alla fine ti vengano a ringraziare per aver scoperto qualche nuovo esercizio, o per aver sentito il cavallo un po’ meglio del solito, o per aver ascoltato la stessa cosa che dice l’istruttore abituale ma con parole diverse e magari più comprensibili… insomma, se c’è anche solo una cosa che io possa dire a questi ragazzi che può aiutarli a capire e a migliorare per me è già un buon modo per essere gratificata».

Quindi in futuro si vede più come insegnante o più come amazzone?

«Direi che nell’arco dei prossimi dieci anni mi piacerebbe affiancare le due attività, anche considerando l’età dei miei cavalli attuali più qualche puledro che sta arrivando. Sono sincera: non credo che mi ostinerò a montare oltre una certa età, penso che a un certo punto si debba lasciare spazio ai giovani mettendo a loro disposizione la competenza e l’esperienza personali. Però direi che ancora una o due Olimpiadi mi piacerebbe farle, mettiamola così… !».

Prima si parlava della sua famiglia: sua mamma Anna e suo fratello Gabriele non sono così coinvolti nello sport equestre come lo siete lei e suo padre. È un fatto che crea qualche tipo di squilibrio?

«No, assolutamente. Mio fratello è un grande amante degli animali in senso generale, e poi sa benissimo che quello che una volta per me era solo sport oggi è diventato anche lavoro. Mia mamma dal canto suo tutto questo l’aveva già vissuto con papà a suo tempo, quindi è sempre stata perfettamente preparata!».

©MFusetti

Rimaniamo sugli affetti, ma nei confronti dei cavalli. Oggi qual è il cavallo del suo cuore?

«Sempre Chablis, nonostante io abbia ottenuto il mio primo risultato storico con Don Rico e abbia fatto le prime cose importanti da seniores con Eremo del Castegno. Ma Chablis mi ha accompagnato sempre, c’era quando io ero junior e c’era quando io sono diventata senior. È sempre qui con me: penso che quando lui mi lascerà per me sarà un trauma… ».

Parlando di rapporto con i cavalli: oggi uno dei temi più dibattuti e più sentiti a livello di opinione pubblica è il cosiddetto benessere…

«In tutti questi anni io ho imparato una cosa fondamentale, grazie agli insegnamenti di mio papà e grazie alla mia personale esperienza: il modo in cui ci si comporta con i cavalli ci ritorna sempre indietro. Se con i cavalli ci comportiamo bene e correttamente loro ci restituiscono tutto nel buono. E lo stesso al contrario: se si usano atteggiamenti scorretti, se si forzano le cose, beh… abbiamo visto scene di difesa e di contrasto anche con cavalieri importanti. Bisogna saper riconoscere chi si ha di fronte. Bisogna sforzarsi di capire ogni singolo cavallo. Io ho avuto cavalli come Eremo che a 9 anni era già pronto per andare in Gran Premio e altri come Ranieri che in Gran Premio ci è arrivato a 13… E altri ancora che in Gran Premio non ci sono mai nemmeno arrivati. Bisogna saper capire e poi saper aspettare. Ci vuole rispetto per la natura e per l’unicità di ciascun cavallo».

Il che a ben vedere è il bello del nostro sport…

«Sì, perché non dobbiamo mai dimenticare una cosa fondamentale: i cavalli ci fanno un favore a fare il piaffé o il passage, o quello che è per ciascuna disciplina… Se fosse per loro, se ne starebbero in un bel prato a brucare l’erba. Dobbiamo sempre partire da questa idea e così tante cose migliorerebbero…».

Ti potrebbe anche interessare...

Lascia un commento