Le interviste di dressage.it: Frederico Pinteus

di Redazione

«Prima di iniziare la nostra intervista, ci tengo a ringraziare Dressage.it. Credo che sia importante che le persone coinvolte nel nostro sport conoscano più da vicino il background dei giudici. Quindi non posso che apprezzare questa opportunità».

Esordisce così Frederico Pinteus, quarantasettenne giudice portoghese che vive a Sintra.

Ci può raccontare come i cavalli sono entrati nella sua vita e come mai proprio il dressage?

«Il mio primo contatto con i cavalli risale a quando avevo 6 anni. Mi capitò di vedere un cartello che segnalava una scuola di equitazione e chiesi ai miei genitori di portarmi là per una lezione. Non ho mai più smesso. A 10 anni ho iniziato a montare in un centro molto rinomato di Lisbona, il Picadeiro Fernando Ralão. Trascorrevo le mie intere giornate in scuderia. A quei tempi non c’erano i cellulari, la televisione aveva solo due canali, quindi era abbastanza comune andare in scuderia subito dopo la scuola. E nel weekend dalle 8 del mattino alle 8 di sera. Il centro ippico si trovava vicino al Jockey Club di Lisbona dove faceva base un’amazzone di dressage, Margaretha Lima Garcia, che aveva dei cavalli danesi stupendi, che facevano gare ad alto livello. L’armonia di quei cavalli mi ha letteralmente stregato. In questo stesso club si allenavano abitualmente i binomi della Portuguese School of Equestrian Art. Quindi era normale andare là, mettersi seduti e guardarli per ore. Sognando che magari un giorno avrei montato così anch’io. Un giorno una signora mi chiese se volevo montare il suo cavallo, cosa che feci con grande orgoglio. È lì che tutto è cominciato. Il dressage, quando praticato nell’osservanza dei principi sanciti nel regolamento Fei, è la massima espressione di armonia e simbiosi tra il cavaliere e il cavallo. La leggerezza, l’impegno e l’intesa nel binomio è qualcosa che mi affascina. Più che in qualsiasi altra disciplina».

Quando è diventato giudice di dressage?

«Sono diventato giudice nazionale nel 1998, principalmente perché volevo capire perché i giudici non mi davano i punti che ritenevo di meritare» dice ridendo

Come si è evoluta la sua carriera?

«Come cavaliere ho iniziato con l’Horseball (tra i 13 e i 17 anni). Ho provato con il salto ostacoli ma a 17 anni mi sono dedicato esclusivamente al dressage. Dapprima con il supporto di Margaretha Lima Garcia e di D. José de Athayde (già primo cavaliere della Portuguese School of Equestrian Art, e più tardi, nel 2000, sotto la guida del trainer tedesco Rick Klaassen che mi ha seguito nelle competizioni di tutti i livelli. Inclusi i Campionati del Mondo Giovani Cavalli.

Ho avuto allievi dalle categorie Children fino allo small tour (due di loro hanno rappresentato il Portogallo tra gli Junior (2007 e 2008) e tra i Children (2018) europei. Nel 2017 sono stato Chef d’Equipe per tutti i team giovani sempre ai Campionati d’Europa.

Nel 2010 ho deciso di provare a organizzare un nazionale di dressage per apportare un look più attrattivo per pubblico e concorrenti. Da allora ho organizzato molte gare nazionali e qualche internazionale in Portogallo.

Per quanto riguarda l’attività di giudice, ho la qualifica nazionale dal 1998, Nel 2018 ho conseguito il livello 3*, quello per il Giovani Cavalli nel 2019 e, nel 2021 sono diventato giudice internazionale 4 stelle. Accanto al fatto che i cavalli rimangono la mia passione e parte del mio quotidiano (monto ancora almeno un cavallo al giorno), il mio lavoro ‘vero’ è quello di avvocato. E in virtù di questa parte del mio background, sono di supporto alla mia federazione in materia di regolamenti».

Ha qualche ‘preoccupazione’ quando entra in cabina per giudicare una categoria?

«Non la chiamerei esattamente preoccupazione, ma in ogni caso mi preparo fisicamente e mentalmente nel miglior modo possibile. Conosco le riprese a memoria, così come i regolamenti che si applicano a ogni categoria. Mi porto sempre dietro due o tre penne extra e qualche foglio bianco… Non si sa mai. Una cosa che può essere un po’ fastidiosa è quando si dispone di uno scribe inesperto o che non conosce bene l’inglese, o che non scrive abbastanza velocemente. Ci sono test in cui tutto può accadere molto in fretta e dobbiamo avere ‘un occhio’ sul campo e uno sullo scribe. Non è una situazione agevole. Conosco bene il lavoro e la fatica affrontati dai cavalieri per andare in gara, quindi voglio sempre essere certo, da parte mia, di essere pronto e preparato per valutare, al meglio delle mie capacità, la loro prova».

I suoi hobby?

«Cavalli: in sella, in giuria, nelle organizzazioni, nella lettura e anche solo da guardare. E, se rimane un po’ di tempo, anche il surf…».

Ha qualche suggerimento che si sente di offrire alla Fei in materia di giudici?

«Un aggiornamento continuo e scambi costruttivi con i principali protagonisti della disciplina sono la chiave. L’online e la digitalizzazione hanno dato prova di costituire un valore aggiunto riguardo a questi aspetti. La Fei ha sviluppato misure in questo settore (per esempio valutazioni online, corsi online, applicazioni…) e negli ultimi due anni l’International Dressage Officials Club ha condotto seminari d’addestramento che si sono dimostrati un eccellente canale formativo, per scambiare opinioni e armonizzare i principi. Credo che la formazione digitalizzata abbia solo mosso i primi passi e molti altri seguiranno. Anche se il contesto virtuale non sostituirà quello reale. Quindi è importante trovare un buon punto di equilibrio tra entrambi i sistemi. I giudici con maggiore esperienza possono giocare un ruolo fondamentale nella formazione e supervisione dei meno esperti, sotto l’ombrello di un programma strutturato e standardizzato. Inoltre, oggi, i giudici sono soggetti a un alto livello di controllo, quindi l’allenamento mentale non deve essere sottovalutato. Sarebbe interessante se una parte dei contenuti del piano educativo di un giudice riguardasse argomenti inerenti a strumenti e metodi per aiutare a controllare la pressione, guadagnare sicurezza, migliorare la concentrazione. Tutti siamo testimoni di come la psicologia dello sport porti a veri benefici, quindi perché no approfittarne anche tra i giudici? Naturalmente e sempre più facile dare consigli che non metterli in pratica. Ma se unissimo le forze e facessimo ognuno la propria parte, sarebbe più facile che molte cose possano realizzarsi».

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