A tu per tu con: James Connor

di Redazione

Volto noto del dressage italiano, James Connor ha al suo attivo una bella carriera internazionale e nazionale in sella e una lunga schiera di allievi che ha seguito sempre con passione e che nutrono per lui grande stima. Ironico, sempre brillante, con quell’accento deliziosamente british che non ha perso nonostante la lunga permanenza in italia, James ha sempre espresso un modo di vivere il dressage completamente dedicato. Fatto di lavoro e poi ancora lavoro. Oggi ha acconsetito, superando il suo proverbiale riserbo, a rispondere alle domande di Dressage.it

James, ci vuole raccontare come e dove è iniziata la sua passione equestre?

«Mi sono avvicinato hai cavalli quand’ero un bimbo di 5 o 6 anni,  accompagnando mio padre alle cacce.  Ho trovato subito questo mondo affascinante ed è nata in me una passione folle.  Pur di stare vicino ai cavalli andavo in scuderia prima e dopo la scuola ed ho cominciato ad accudirli, pulirli e dopo qualche tempo anche a montarli».

Qual è il primo ricordo equestre e a che cosa è legato?

«Seguivo in tv tutto quello che riguardava questo sport. Il mio idolo in quel periodo era l’olimpionica Penny Morten, il suo modo di montare e di lavorare i cavalli mi faceva sognare.

All’età di 12-13 anni  sono cominciate le mie prime competizioni di salto ostacoli e completo».

Da quanti anni è in Italia?

«Nell’80 ho deciso di prendermi un anno sabbatico dalla scuola e sono venuto in Italia, nonostante il parere contrario della mia famiglia. Qui ho conosciuto Emanuele Castellini e ho cominciato a lavorare con lui. Questi sono stati in sintesi i miei inizi, poi a poco a poco mi sono dedicato esclusivamente al dressage».

Qual è per lei il vero significato del dressage?

«Per me il dressage è una disciplina che permette di rendere il cavallo armonico e ginnasticato, lo aiuta ad usarsi al meglio, rendendolo morbido ed elastico; un lavoro di collaborazione tra cavallo e cavaliere sempre nel rispetto della personalità dell’animale. Questo è sicuramente quello che mi affascina».

Che cosa cerca nel rapporto con i suoi cavalli?

«Oggi nel rapporto con i miei cavalli cerco di diventare il loro riferimento, il loro capo branco, perché ho capito che se il cavallo se si fida di te e ti rispetta è il momento in cui tu puoi dare a lui e ricevere da lui, questo è molto importante ed è un momento molto magico».

Tra i cavalli che ha montato, qual è quello che le ha insegnato di più?

«Ho montato moltissimi cavalli, ma quello che mi ha insegnato di più si chiama Fibrin, anche se in verità ogni cavallo ti insegna qualcosa, ma Fibrin mi ha insegnato tantissimo. Mi ha scioccato il modo in cui piaffava e il modo in cui sono arrivato a farlo piaffare correttamente.  Devo dire però che ogni cavallo è un grande istruttore, ma tu devi essere analitico perché lavori con una strategia che cambia continuamente; il cavallo man mano che migliora cambia ed in grado di dirti che stai facendo un errore e non stai andando nel modo giusto, o conferma il tuo lavoro migliorandosi sempre di più, cioè che sei nella direzione dell’obiettivo. Sono molto soddisfatto di quello che in questo sport sono riuscito a fare: ho partecipato a competizioni molto importanti, tra cui tre mondiali, un campionato europeo e ho vinto diversi campionati italiani. Ho lavorato con Dr.Schulten Baumer, Johnny Hilberath, George Theodorescu, Norbert Van Laak e Mariette Wittages».

Qual è il cavallo che le piacerebbe avere in scuderia?

«Il cavallo che mi piacerebbe avere in scuderia: a questa domanda mi sento con assoluta sincerià di rispondere che ce l’ho già!».

Nella sua carriera ha seguito molti cavalieri. In veste di trainer come ritiene che sia vissuto il dressage?

«Durante la mia carriera di trainer ho avuto la possibilità di formare molti cavalieri, molti sono diventati anche buoni preparatori e buoni istruttori. Potrei fare un lungo elenco, sono cavalieri arrivati a fare sia i mondiali con attitudini olimpioniche. Quello che ho cercato di insegnare a tutti loro è di trovare la grinta e l’amore di crescere i loro allievi e di migliorare ogni cavallo che hanno nelle loro mani avendo cura del loro fisico e del loro benessere».

Trova che la disciplima abbia subito cambiamenti negli ultimi anni? Se sì, quali?

«Trovo che nell’arco degli anni questa disciplina sia rimasta molto fedele alla scuola classica dell’addestramento del cavallo, mentre la qualità dei cavalli e assolutamente migliorata portando così il dressage a un livello nettamente superiore a quarant’anni fa. (chiaramente i buoni cavalli fanno la differenza)».

In che cosa ritiene che potrebbe essere migliorata?

«Una delle cose per cui avrei voluto lottare molto di più è avere un’uniformità e una comprensione del giudizio dei giudici, perché oggi siamo arrivati a delle situazioni dove è difficile spiegare ai nostri allievi certi giudizi con varietà di punti. Io credo che se avessimo potuto avere la possibilità di avvicinarci ai giudici per un confronto, sarebbe stato un modo di aiutarci a vicenda. Un’altra cosa che purtroppo non viene sempre notata dal giudice è il miglioramento di un cavallo o di un binomio e questo è un punto molto importante per un allievo o per un addestratore del cavallo o per il cavaliere stesso. In questo modo, senza un giudizio del giudice, è molto difficile verificare se i cavalli sono effettivamente migliorati».

Quale consiglio si sentirebbe di dare a chi volesse avvicinarsi al mondo del dressage?

«Vorrei dire a chi si avvicina a questo magnifico mondo del dressage che è importante amare il lavoro quotidiano, di non sforzare mai gli animali, e di cercare solo un mezzo punto in più di quello che il cavallo offre. Consiglio di trovarsi istruttori che non abbiano avuto solo un singolo successo ma che abbiano un costante successo e soprattutto che abbiano la passione nell’insegnare». 

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