Paralympics: le emozioni di Tokyo

di Redazione

Le Olimpiadi, i tanto sospirati Giochi di Tokyo sono volati in un battito di ciglio. Tanti sforzi e quattro anni (più uno) per arrivare all’appuntamento più importante… E poi… Tutto si è esaurito supervelocemente. O almeno così è sembrato da chi seguiva da casa nelle difficili dirette. Accanto al rettangolo di Francesco Zaza, dopo il salto di Emanuele Gaudiano e dopo le magnifiche prestazioni di Susanna Bordone, Arianna Schivo e Vittoria Panizzon, è stato il dressage paralimpico il vero fiore all’occhiello dell’Italia equestre. Grazie sicuramente alla doppia medaglia di una straordinaria Sara Morganti, ma anche alle prestazioni di tre ragazze che guardano lontano: Federica Sileoni, Francesca Salvadè, Carola Semperboni.

E la trasferta paralimpica, la più complicata, alla fine è stata un gran momento per tutti: amazzoni, le loro famiglie, i loro onnipresenti e infaticabili istruttori e trainer e i tecnici della Fise che non le hanno perse di vista un attimo. Tra loro il selezionatore Fise Ferdinando Acerbi al quale Dressage.it ha chiesto di condividere le sue emozioni di Tokyo. 

Da sempre un eccellente motivator… che cosa ha significato essere là con le ragazze?

«È stato fantastico, la chiusura del cerchio di anni di formazione in così tanti e diversi contesti, che credo mi abbiano permesso, attingendo alle pregresse esperienze, di portare a termine il quadriennio con quattro amazzoni che, ognuna con le sue peculiarità e motivazioni, hanno lottato come leonesse, costruendo esperienza, motivazione e “focus” durante tutta la strada che ci ha portato a Tokyo».

Una preparazione ancora più complessa causa Covid. Che impegno è stato essere selezionatore con così pochi riferimenti?

«Noi abbiamo avuto la fortuna, rispetto a molti paesi europei, che l’attività nazionale alla fine ha subito pochissimi ritardi e di fatto abbiamo sempre, almeno con gli atleti della prima squadra potuto continuare a montare. Quindi tra stage e gare nazionali, ho sempre avuto abbastanza costante la rotta verso una preparazione ottimale. Va detto che tutti i ragazzi hanno la fortuna di avere dei Team con la T maiuscola, cosa che aiuta non poco. Il problema grosso è stata la mancanza quasi totale di attività internazionale che ci ha “costretto” ad arrivare alle Paralimpiadi con due atlete debuttanti, di cui una che faceva sostanzialmente la sua prima gara all’estero. Vi potete immaginare la tensione, ma soprattutto la gioia di fronte alle loro prestazioni».

Nella sua vita lei sei stato un agonista di qua e di là dalla linea. Ha fatto Rio… Che differenze trova, nell’approccio alla gara, tra un agonista normo e un ‘para’?

«È una domanda che mi viene spesso posta, in realtà non credo ci sia nessuna differenza. Mi spiego, dato il fatto che ognuno di noi abbia la sua quotidianità, più o meno “semplice”, e che questa sia la base di partenza, la quantità di lavoro con cui ognuno di noi decide di “caricare” la sua quotidianità, al netto di doti più o meno “elevate” è esattamente la stessa per tutti. Quindi. paradossalmente, non credo ci sia differenza sostanziale fra di noi e i nostri omologhi “normodotati”».

Che cosa serve ai rettangoli para per crescere? Qualcosa di tecnico e qualcosa di teorico…

«Sinceramente non credo ci sia molto da invidiare agli altri, oggi abbiamo ottimi atleti molto ben montati, c’è interesse verso il movimento e cominciano ad affacciarsi privati ed associazioni che stanno diventando importanti “poli”. Ci manca solo un po’ di faccia tosta, credere in noi stessi come squadra e guardare all’esterno, il nemico non è tra le nostre mura ma fuori e non dobbiamo aver paura di affrontarlo, essere il migliore degli italiani conta meno di essere la migliore Italia a mio avviso. Quindi se vogliamo fare un paragone con la teoria dei cerchi dell’apprendimento, siamo al limite della “conoscenza di sé” e dobbiamo cominciare a proiettarci all’esterno. Quindi sì, a mio parere manca formazione in questo senso».

Lei è il timoniere delle medaglie olimpiche azzurre di Tokyo. Qual è oggi la sua prospettiva?

«Ho avuto l’onore di essere responsabile di una squadra che in cinque anni ha portato a casa sei medaglie continentali, seppur tutte vinte a livello individuale, credo che sia stato importante saper creare un ambiente dove tutti hanno potuto lavorare al meglio delle loro necessità, nonché organizzare e gestire al meglio tutta la logistica e i servizi che un progetto del genere (e cinque/sei “teste” del genere) comporta. Sono convinto che, a prescindere dalla grandezza personale di Sara, altrettanto risalto vada dato a tutta la squadra. Vorrei inoltre ricordare che a ognuno dei suddetti appuntamenti abbiamo presentato almeno un binomio debuttante».

C’è qualcosa che, col senno del poi, oggi farebbe diversamente riguardo alle Olimpiadi?

«In realtà no, tutte le decisioni che ho preso sono state pensate a lungo e condivise con il mio staff. Certo avremmo potuto avere un pochino di fortuna in più il primo giorno e avere Federica o Francesca in finale (cosa che abbiamo mancato veramente per un soffio), in modo che tutte le ragazze avessero potuto montare almeno due giorni, (questo era il mio piano migliore, non essendo in corsa per una medaglia a squadre, sarei riuscito a ottimizzare l’esperienza sul campo di tutte le ragazze…), ma non è andata così e ho fatto una scelta che come tutte le scelte ha trovato i suoi sostenitori ed i suoi detrattori …. Io però non ho regrets e rifarei la stessa cosa».

Come è tornato da Tokyo?

«Stanco, felice, orgoglioso e con grande voglia di fare».

E adesso? Quali le sue prospettive personali e quali quelle del paradressage?

«Al momento, su incarico della Federazione, sto lavorando a un progetto molto ambizioso di promozione e scouting del movimento paralimpico equestre. Ci sono tante cose da fare e mi sono posto obbiettivi molto sfidanti. Presto spero di potervi dare qualche notizia in più. Per quanto riguarda gli atleti “blasonati”, loro devono necessariamente ricominciare a pensare da subito in chiave olimpica, ci sono da ottenere le qualificazioni …. C’è un anno in meno».

Che messaggio vuole dare a chi ci legge su dressage.it?

«Credo che dalle mie parole traspaia abbastanza bene la mia passione e il mio modo di pensare… Auguro a tutti noi appassionati di trovare sempre la via e la motivazione necessaria a percorrerla in serenità e soprattutto divertendosi». 

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