Conosciamo i giudici: Alessandro Poncino

Brevi interviste per conoscere i giudici italiani , il loro background e il loro personalissimo modo di intendere il dressage

di Liana Ayres
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Dottor Poncino, ci può raccontare come e perché l’equitazione è entrata nella sua vita?

«Nel mio caso penso che la passione per l’equitazione sia da considerarsi di origine… genetica! Mio padre iniziò da ragazzino a montare a cavallo nel periodo anteguerra e per tutto il periodo bellico compì il servizio militare come ufficiale di cavalleria. Si occupò, tra l’altro, di un centro militare di addestramento cavalli giovani ma purtroppo dovette smettere per esigenze lavorative/familiari. Appena fui in grado di capire, iniziò a descrivermi il rapporto con il cavallo, le sensazioni che si potevano ricevere sia in sella, sia a terra, da questi splendidi animali. Così a circa 7 anni iniziai con le prime lezioni. Come la maggior parte dei miei coetanei iniziai quella che (allora!) era una lunga formazione non solo atletica ma anche psicologica, volta a creare un “uomo di cavalli”! La mia attività equestre fu indirizzata da tecnici di origine militare, in realtà caprilliani puri (del resto Poncino è torinese, ndr), ma che avevano il senso del cavallo a tutto tondo».

Perché il dressage?

«Proprio uno di questi, ex istruttore della Scuola Militare di Equitazione di Pinerolo, riuscì a trasmettermi il concetto che un cavallo ben lavorato, ben ginnasticato, nel rispetto della sua anatomia, fisiologia e psicologia, con il supporto di richieste (aiuti) corrette e ben dosate, poteva dare il massimo in qualsiasi specialità si decidesse di impiegarlo. Altro non era che un cavallo ben dressato! Da lì è nato l’interesse, non solo pratico ma anche culturale, di capire come affinare il dialogo tra cavallo e cavaliere. Dopo varie esperienze con diversi istruttori (o pseudo tali, ma qui si entra in un argomento spinoso!) ho avuto la fortuna di incontrare un tecnico tedesco allievo di Tempelman che mi ha permesso di approfondire le basi della disciplina».

Come e quando è diventato giudice di Dressage?

«Dovrei dire che si è trattato di un caso. Ormai molti anni or sono, ci fu in un circolo ippico della cintura di Torino un corso di aggiornamento per giudici di dressage aperto, come uditori, anche ad appassionati della disciplina. Il corso era tenuto dalla giudice internazionale Mariette Withages. Durante il corso alcuni giovani cavalieri eseguivano delle figure e i corsisti e gli uditori, tra cui io, dovevano dare un voto e poi motivarlo. Per una di queste figure fui l’unico a dare un voto negativo e motivai la mia valutazione dicendo che si trattava di una cessione e non di un’appoggiata. In realtà Mariette aveva effettivamente chiesto al cavaliere di eseguire una cessione e poi aveva invitato tutti noi a giudicare “l’appoggiata” appena eseguita. Fu così che la docente mi propose di iniziare a frequentare un corso per giudici e la cosa mi coinvolse a tal punto che… continuo a fare il giudice!».

Come si è sviluppata la sua carriera di giudice?

«Come per tutti i colleghi si è trattato di seguire l’iter federale di formazione. Devo dire che per me si è svolto in un periodo fortunato. Io ed i miei colleghi, che amo definire della vecchia guardia, abbiamo avuto la possibilità di seguire docenti di alto livello, giudici internazionali di grande esperienza, che si sono impegnati a trasmetterci, oltre alle linee guida della Federazione Internazionale anche il risultato delle loro personali esperienze. La Federazione Italiana, inoltre, ci diede modo di confrontarci con giudici stranieri tra i più quotati, sia in corsi di formazione/aggiornamento, sia affiancandoli in cabina nei vari concorsi internazionali che si svolgevano nel nostro paese. Solo un confronto costruttivo con i colleghi, a maggior ragione se di elevata esperienza, mettendosi costantemente in discussione e confrontando le proprie valutazioni, permette di sviluppare la propria capacità di giudizio».

Come dovrebbe essere la relazione tra i giudici e gli altri protagonisti del dressage (atleti, istruttori, sponsor etc.)?

«Credo che il ruolo di un giudice sia di lavorare in un team indirizzato a migliorare le prestazioni in gara dei binomi. Nel team ciascuno ha, però, ruoli specifici. Quello del giudice è di dare una fotografia della prova appena eseguita, sulla base delle specifiche linee guida. Sarà poi compito del cavaliere e del suo istruttore, risolvere eventuali problematiche che emergono dalla “fotografia” fornita dal giudice. Ovviamente il giudice sarà a disposizione del cavaliere /istruttore, quando e se richiesto, per fornire chiarimenti in riferimento al giudizio espresso».

Qual è la sua principale preoccupazione, se ne ha, quando entra in cabina?

«Francamente ritengo che il termine preoccupazione implichi uno stato d’ansia che non è, e non deve, essere presente nel momento in cui ci si appresta e giudicare un atleta. Siamo esseri umani per cui la possibilità di errore esiste ed esisterà sempre. Di questo dobbiamo essere consapevoli noi, così come gli atleti che giudichiamo. È necessario cercare di essere il più lucidi possibile e, forti di quanto abbiamo appreso, applicare a quanto vediamo i criteri di giudizio specifici per quel livello, indipendentemente da ogni altra valutazione, ricordando che il binomio richiede, anzi pretende, la massima correttezza».

Qual è l’aspetto del dressage, come disciplina, che le piace di più e quale di meno?

«L’aspetto che trovo più appassionante è sicuramente il costante perfezionamento del rapporto tra cavallo e cavaliere. D’altro canto, specie nelle riprese di più basso livello di difficoltà si ha modo di verificare come la formazione di molti “cavalieri” sia, diciamo, poco attenta. E questo è sicuramente l’aspetto che meno mi piace, non tanto in rapporto alla disciplina specifica ma rispetto al nostro sport in generale».

Cosa suggerirebbe ai responsabili Fise per migliorare la disciplina?

«Credo che sia necessario concentrarsi sulla formazione sia dei quadri istruttori (non solo dei cosiddetti specialisti della disciplina), sia dei giudici per far sì che quel team di cui accennavo sopra possa raggiungere sempre migliori risultati. A questo, che ritengo basilare, potrebbe essere necessario associare lo sviluppo di una crescita di giovani cavalli dedicati alla disciplina».

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