Quanti ‘Enzo’ Truppa ci sono dentro Vincenzo Truppa…? Tecnicamente parlando uno solo, ma in realtà la cosa non è così semplice. Il cavaliere? L’istruttore? Il tecnico? Il giudice? L’organizzatore? Diciamo un uomo di cavalli che nel suo essere tale è anche tutto questo: ecco.
Cronologicamente parlando l’ultima ‘versione’ ufficiale di Enzo Truppa è stata quella nel ruolo di delegato tecnico della Fei alle Olimpiadi di Parigi per la specialità – ovviamente – del dressage. Un incarico di altissima responsabilità, ma… anche fisicamente di un certo impegno!
«Mi sono alzato ogni giorno per dodici giorni alle 5 del mattino perché dall’albergo al parco di Versailles la navetta impiegava 40 minuti, a volte anche di più. Poi l’ingresso era molto complicato con tutte le procedure di identificazione e di controllo come in aeroporto… insomma, per essere lì alle 7 prima di tutti gli altri non potevo che svegliarmi alle 5. A mezzogiorno non c’era tempo per mangiare, soprattutto perché l’unico posto possibile per farlo era molto lontano: però negli uffici che mi avevano messo a disposizione c’erano sempre valanghe di banane… il risultato è che non voglio più vedere perfino una sola banana per ancora un bel po’ di tempo… E infine tenendo conto della vastità dell’area su cui sorgevano gli impianti ho calcolato di aver percorso almeno una cinquantina di chilometri a piedi…».
Però la soddisfazione sarà stata notevole, visto il grande successo sia organizzativo sia tecnico…
«Gli ultimi giorni, quelli del Grand Prix Special e della Kür, dicevo fra me e me… ho lavorato come un pazzo per nove mesi, tonnellate di carte, e adesso in due giorni mi gioco tutto…
Non è andata poi così male, anzi, l’esatto contrario: quando abbiamo fatto l’ultima riunione con gli chef d’équipe per l’estrazione dell’ordine di partenza della Kür a un certo momento si è alzato in piedi il capo della squadra tedesca e ha detto: “A nome di tutti i capi équipe vi ringrazio per l’organizzazione perfetta”, e ci hanno applaudito per tre minuti. Da quel momento io viaggio a cinque metri da terra! Anche perché poi ho ricevuto un bellissimo regalo da parte del presidente della Fei, Ingmar De Vos, con una bella lettera di ringraziamento, e un bel messaggio del presidente del Coni, Giovanni Malagò».
Il periodo precedente l’inizio dei Giochi è stato quello più problematico?
«Diciamo che io ho visto nascere e crescere tutto l’impianto a distanza, e tante piccole cose sono riuscito a correggerle grazie al bel rapporto di amicizia tra me e il dressage manager Georg Fincke, ci conosciamo da una vita… Lui mi ha mandato continuamente filmati e fotografie di tutto, in questo modo mettendomi nella condizione di non dover viaggiare troppo spesso. Abbiamo deciso insieme tutto… a cadenza quasi giornaliera. Abbiamo avuto anche un grande supporto dal direttore del dressage in Fei, Ronan Murphy, con il quale è nata una bella amicizia».
Lei però ha avuto esperienza di organizzazione di molti eventi importanti…
«Sì, è quello che mi dicono tutti, tu hai organizzato il dressage nel Campionato del Mondo di Roma 1998, tante edizioni del Campionato d’Europa… Ma non è la stessa cosa di un’Olimpiade. In qualunque altro evento tu scegli i collaboratori, per esempio il centro calcoli che per noi è fondamentale e per questo, in Fei, ci avvaliamo ormai da tanto tempo della collaborazione di Daniel Goelen, che è bravissimo, mentre per Parigi esistevano dei contratti con alcune società che coprivano tutte le specialità… I responsabili di queste società erano gelosissimi di Daniel, non lo volevano proprio, presumibilmente per dimostrare che erano in grado di svolgere il compito, però poi loro hanno creato un problema di cui ancora non so darmi spiegazione: cioè i primi risultati pubblicati erano giusti in rete, quelli del totale per binomio, ma sbagliati quelli distribuiti tra i giudici. Mi sono infuriato! Qui il responsabile assoluto sono io, voi potete avere tutti i contratti del mondo, ma se i risultati non li firmo io, voi non pubblicate proprio un bel nulla… La sfuriata ha funzionato perché il responsabile ha capito l’antifona, mi ha scritto un bel messaggio, ci siamo chiariti e da quel momento è filato tutto liscio».
Al di là di questo caso specifico, bisogna dire che è andato tutto liscio per tutte e tre le discipline e che quello di Parigi è stato uno spettacolo meraviglioso!
«Sì, è vero. Secondo me anche quella di Londra 2012 è stata un’edizione stupenda, ma questa di Parigi credo che sarà irripetibile, per tutte e tre le specialità… Il luogo e lo scenario, con il castello sullo sfondo, erano di una bellezza inarrivabile e dal punto di vista tecnico, beh… devo dire che i tre delegati erano uno meglio dell’altro, gente di grande esperienza e personalità. Mi autocelebro dicendo questo, ma è la verità».
Tra l’altro il dressage si è presentato a queste Olimpiadi con una premessa niente affatto favorevole data dal cosiddetto ‘caso Dujardin’…
«La mia opinione è che Charlotte è stata certamente una sciocca, ma all’epoca era anche una giovincella… Io l’ho avuta a casa nostra a fare uno stage con Valentina e, a mio parere, lei oggi è la migliore amazzone al mondo, la più dotata in assoluto. Ha commesso un errore, ma chi non ne commette nella vita? Ha sbagliato e pagherà, ma il messaggio che dovrebbe passare è che per essere davvero attenti al benessere dei cavalli qualunque denuncia di violenze o abusi o anche solo di comportamenti scorretti deve essere presentata nel momento in cui si verifica il fatto, non uno, due, tre o quattro anni più tardi. Altrimenti vuol dire che non ci si preoccupa per il benessere dei cavalli, ma per altro…».
Lo sport equestre è sempre più sotto gli occhi del pubblico anche generico per via della relazione uomo-cavallo e delle modalità con cui viene vissuta: oggi come oggi il dressage si sente in pericolo?
«No, crisi e pericolo assolutamente no. Il dressage si sente sotto esame, questo sì. A Parigi abbiamo fatto una riunione con tutti i capi équipe e il responsabile veterinario della Fei, Goran Akerstrom, e abbiamo chiaramente detto: questo per il dressage è un momento delicato per tutte le ragioni che ben sapete, quindi non sarà ammesso più nulla di non consono al welfare del cavallo. Il messaggio è questo. Io ai capi équipe delle squadre in gara ho esplicitamente comunicato fin dal principio di aver dato disposizione agli steward di essere gentili, diplomatici e collaborativi, ma assolutamente rigorosi nel segnalare qualsivoglia accenno a problematiche welfare. Ecco, da questo punto di vista posso dire che la Fei è diventata attentissima e severissima. Anche i giudici hanno chiaramente compreso che tutto quello che anche solo minimamente non va bene deve essere sanzionato».
Ci possono essere anche delle correzioni di carattere tecnico?
«Ecco, chiariamo questo concetto. Non vanno confusi gli aspetti tecnici con il vero benessere del cavallo. Volendo fare un esempio, chi sostiene che si dovrebbe montare in filetto e non in morso e filetto confonde per l’appunto le due cose: in filetto si può avere una mano che pesa trecento chili e in morso e filetto avere una mano come quella di Carl Hester che corrisponde al peso di pochi grammi… Poi: non mi puoi estrarre un fotogramma da un video con la pretesa di dimostrare qualcosa. Devi prendere quel video e dimostrare nella continuità del movimento quello che sta accadendo. Il singolo fotogramma può essere una mistificazione».
Esiste un momento storico particolarmente significativo in cui la valutazione tecnica delle giurie è cambiata in relazione a tutto questo?
«Sì, direi le Olimpiadi di Londra 2012 quando la Gran Bretagna ha vinto la medaglia d’oro. Chi c’era in quella squadra? Charlotte Dujardin, Carl Hester… perfetti rappresentanti di un modo di montare antitetico a quello praticato da cavalieri che avevano la rollkur quale metodo di addestramento. Nel 2019 è stato pubblicato il nuovo manuale per gli steward dove per la prima volta è stato chiaramente scritto che se si verifica una iperflessione di tot minuti, ora non ricordo esattamente quanti, lo steward ha il dovere di intervenire. Così come se durante il lavoro non si notano degli intervalli al passo. E infatti poi ci fu quel Campionato d’Europa ad Aquisgrana in cui Edward Gal fu fermato da uno steward in campo prova… Ora è cambiata l’attitudine: se qualche tempo fa cavalli mostrati ‘short in the neck’ erano più o meno tollerati, oggi non più».
Inutile sottolineare l’importanza del ruolo del giudice in dressage. Quando lei era cavaliere pensava di divenire un giorno giudice, e in particolare di così alto livello?
«No, assolutamente, ero concentrato sul cercare di diventare un buon cavaliere e un buon tecnico. Perché io alla fine mi sento un tecnico “prestato temporaneamente” all’attività di giudice, anche se quel temporaneamente si è trasformato in una notevole quantità di anni! Ma sostanzialmente io sono e mi sento un tecnico».
Ma quando lei montava come valutava i giudici, cosa ne pensava, che immagine aveva di loro?
«Beh, prima di tutto bisogna dire che quando io montavo a cavallo i giudici erano veramente di altissimo livello, veramente preparati, e dunque io ne avevo un grandissimo rispetto. Il problema è nato dopo, più tardi, quando tanti giudici sono stati fatti un po’ frettolosamente, diciamo, persone che non avevano un grande passato equestre, alcuni che non avevano mai montato a cavallo o comunque senza esperienza di un certo tipo in sella… e alla fine, purtroppo, te ne accorgi».
Non avere quel tipo di esperienza però dovrebbe costituire un limite piuttosto grave, no?
«Prendiamo la Germania. Lì il movimento equestre del dressage è talmente vasto che vige la regola secondo cui un giudice non può giudicare una ripresa se non l’ha affrontata da cavaliere. Se applicassimo questa regola anche in Italia allora io oggi sarei l’unico giudice di Grand Prix… Quindi cosa si è detto? Facciamo i corsi, i training… sì, ma con i corsi e i training impari a vedere se c’è un errore nella sequenza dei cambi, questo lo può vedere chiunque… È diverso aver montato a cavallo… E dove si vede questa differenza? Non nel giudicare in Grand Prix, ci sono così tante figure per cui eventuali problematiche non si palesano così chiaramente: la si vede quando bisogna giudicare gli juniores o i cavalli giovani, dove bisogna capire come si muove il cavallo… dove si premia il modo in cui il cavaliere sta in sella, come dà gli aiuti… In Italia abbiamo bisogno di un ricambio generazionale con persone che provengano dal rettangolo e dal Grand Prix, e devo dire che Barbara Ardu in questo senso ha fatto una cosa intelligente, cioè ha spinto e sta spingendo gente come Ester Soldi, Micol Rustignoli, Giorgio Bacchetta, mia figlia Valentina stessa… a iniziare a giudicare».
Nella sua carriera di giudice qual è stata l’esperienza per lei particolarmente significativa?
«Ne ho talmente tante… non saprei. Direi sicuramente le Olimpiadi di Atene… poi aver giudicato per undici anni di seguito a Stoccarda e sempre quale presidente nel Freestyle, quello è il più importante concorso internazionale indoor, l’equivalente di Aquisgrana, miglior Cdio all’aperto, dove ho giudicato per tanti anni. Poi sei o sette finali di Coppa del Mondo e talmente tanti Campionati d’Europa tra giovanili e seniores che non ne ricordo più il numero… ».
Com’è il suo rapporto con i cavalieri?
«Credo di essere rispettato e amato dai cavalieri veramente bravi perché quando io giudico cado in una specie di stato di trance, nel senso che non mi importa assolutamente il nome di chi è in sella e mi concentro solo ed esclusivamente su quello che vedo. Penso che questo sia abbastanza apprezzato da chi è sicuro di sé stesso».
Non le è mai capitato di aver commesso un errore, oppure a mente fredda di aver cambiato idea su una particolare valutazione?
«Direi di no… non credo… penso, senza falsa modestia, di essere un giudice molto tecnico. Però attenzione, quello che dovrebbe esserci sempre e che invece accade raramente è il confronto. Una volta ad Aquisgrana io e un altro giudice molto famoso, Dieter Schuele, ci accorgiamo di una differenza di voti tra noi. Bene, ci siamo subito seduti insieme senza che nessuno ci avesse costretto a farlo, per vedere di capire: viene fuori che nel piaffé il cavallo incrociava davanti, io avevo dato 5 e lui 7. Lui dice eh no, hai ragione tu, incrocia davanti, non può essere 7… Questo cavallo aveva un galoppo magnifico per cui io avevo dato tanti 7, lui invece degli 8: e io ho riconosciuto la sua ragione, quel galoppo era decisamente superiore alla media… Il giorno dopo eravamo perfettamente allineati! Il punto è proprio questo: il vero giudice, quello bravo, non ha problemi nel confronto, anzi, lo ricerca: perché magari il commento è simile, ma la parametrazione diversa. Per questo è fondamentale che i giudici si parlino».
La presenza di sua figlia Valentina sulla scena dell’agonismo di alto livello ha modificato qualcosa in lei, nel suo modo di essere tecnico, giudice e uomo di cavalli… ? È possibile che grazie a Valentina lei abbia migliorato e approfondito la sua visione di insieme?
«No, direi che caso mai è accaduto il contrario e la prima a riconoscerlo è proprio Valentina. Di certo Valentina rispetto a me ha in più il talento: io ero un cavaliere molto costruito, ho imparato tutto con grande sacrificio, volontà di ferro, ottimi istruttori e buoni cavalli. Lei ha invece un talento naturale e una sensibilità estrema: io le do molta retta, quando lei mi dice di sentire qualcosa su di un cavallo vuol dire che qualcosa c’è, anche dal punto di vista veterinario… lei sente tutto, in sella capisce tutto. Del resto Nuno Oliveira diceva che il talento non si compra e non si vende, non si insegna e non si impara: o c’è o non c’è… E quindi adesso qui in Italia mi chiedono: scusi, ma lei è per caso parente di Valentina Truppa… ? Però nel mondo sono Enzo Truppa… ah ah!».
In tutti gli anni in cui avete vissuto insieme lo sport ai massimi livelli non avete mai avuto un contrasto, una tensione, una divergenza di idee?
«Partiamo con il dire che io sono ipercritico e il grande merito di Valentina è esserne consapevole e averlo accettato: anche perché sa bene che poi questo vuol dire guadagnare un punto qui, un altro là… E quanto alle tensioni… sì, in tantissimi anni una volta sola, durante il Campionato d’Europa a Herning. Lei lì ha fatto un Grand Prix molto bello con Eremo del Castegno. Il cavallo abitualmente doveva uscire due volte al giorno per un massimo di tre ore perché era di un’esplosività fuori dal comune e se, per esempio, lo si girava al mattino e la gara era nel pomeriggio, praticamente era come non averlo mosso. Finito il GP dico a Valentina domani c’è lo Special, tanto trotto allungato, passage, trotto allungato, passage… proviamo a far uscire Eremo una volta sola… Lei mi risponde in modo piuttosto forte, no il cavallo esce due volte! Allora io in modo altrettanto forte le ribadisco: il cavallo esce una volta sola e fine della discussione! Praticamente, per la prima volta dopo tanti anni, è venuto fuori un problema padre/figlia. Morale: l’indomani Valentina sta per entrare in rettangolo per lo Special e mi dice “forse sarai interessato a sapere che sono seduta su una bomba atomica!”. In effetti Eremo poi si è dimostrato ai limiti del controllo… e invece di classificarsi 6° o 7° come sarebbe stato naturale è finito al 19° posto. Valentina è uscita dal rettangolo e non ci siamo parlati per una settimana… Poi però abbiamo chiarito tutto. Le ho detto: d’ora in poi sei responsabile tu di quante volte montare o far uscire il cavallo, ma non ti rivolgere mai più a me con quel tono. Basta. Fine della storia. Lei e io non abbiamo avuto mai più il benché minimo contrasto o tensione».
Cavaliere, istruttore, tecnico, giudice, organizzatore, delegato tecnico Fei… e adesso cosa ci potrà essere ancora nel suo futuro?
«Non ne ho idea. Una sola cosa è certa: non mi sento ancora a fine carriera, anzi… Questo è sicuro!».