Giovani Cavalli: long and deep/7

di Enzo Truppa

Questa tecnica di lavoro si inserisce tra le metodologie relative a uno degli obiettivi fondamentali della scala dell’addestramento e del giudizio e cioè la decontrazione fisica e psichica del cavallo ed è purtroppo, nella pratica equestre, fonte di grandi equivoci, sia in relazione alla sua utilità che per ciò che concerne l’attuazione pratica.

Un giovane cavallo viene normalmente introdotto a questo tipo di lavoro alla longe, mentre, allorché montato, occorrerà che il cavallo abbia già una certa dimestichezza con l’imboccatura e quindi un buon contatto. Di norma si introduce il giovane cavallo al lavoro di “long and deep” alla fine della lezione, quando cioè i segni di esuberanza giovanile tendono a scomparire; ciò avviene invitando il cavallo a seguire la mano in basso e in avanti, con una attitudine a seguire dolcemente la mano del cavaliere.

Purtroppo questa tecnica che si può definire di stretching, quindi tra gli esercizi di decontrazione del cavallo, è fonte di innumerevoli equivoci nella pratica equestre di tutti i giorni. A ciò si aggiunga che molti grandi istruttori non usano e non credono nell’utilità di questo lavoro, poiché ritengono che per molti cavalli (e con cavalieri poco esperti) tale lavoro implichi l’inconveniente di metterli sulle spalle.

Tale avversione comunque deriva non tanto dalla constatazione che tale sistema non serva allo sviluppo del sistema muscolare del cavallo (questo in effetti è vero e verrà esaminato nel prosieguo), quanto per il rischio concreto che tale tecnica, praticata da cavalieri non esperti, con le varianti negative esposte nel prosieguo, finisca col produrre più lati negativi che positivi. A mio modo di vedere questo lavoro, se eseguito correttamente, è invece fondamentale nel favorire lo stretching (allungamento) della muscolatura, dei legamenti e dei tendini del cavallo stesso e soprattutto favorire l’uso della schiena del cavallo.

Osservando l’evolversi di tanti sport e di tante attività artistiche, come il balletto per esempio, si noterà che, specialmente nel passato, veniva ricercato più che altro lo sviluppo della potenza fisica, forgiando atleti dalle muscolature imponenti, ma tale sviluppo fisico e muscolare avveniva spesso senza tenere conto dell’importanza di favorire e mantenere la flessibilità di tendini, legamenti e delle stesse masse muscolari.

Una moderna visione di questo aspetto ha portato molti trainers di svariate discipline a considerare l’importanza degli esercizi di allungamento in generale con il risultato che ormai queste tecniche di “stretching” sono divenute di uso corrente in molti sport, fra cui, per il cavallo, appunto il dressage. Tali tecniche appartengono alla fase di decontrazione, cioè quella fase di lavoro normalmente definita come “warm up” (riscaldamento) del cavallo. L’osservazione per cui l’inarcamento ideale della schiena avvenga con la contrazione complementare dei muscoli addominali, che si attiverà al massimo della perfezione quando il cavallo è estremamente riunito, è senz’altro corretta.

Qui però, sta a mio avviso, il nocciolo della questione: non si tratta con questa tecnica, di sviluppare il sistema muscolare del cavallo, perché risulta di tutta evidenza che intanto un giovane cavallo non è ancora in grado di accettare un grado accentuato di riunione e che cavalli più anziani e più esperti hanno comunque, come tutti gli atleti, necessità di una fase preliminare di riscaldamento prima di effettuare esercizi di grande impegno fisico. Piuttosto va ribadito che il lavoro cosiddetto di “long and deep” serve in realtà all’inizio della sessione di lavoro per preparare preliminarmente (riscaldamento e allungamento) le articolazioni, i tendini e i muscoli del cavallo e in particolare quelli della sua schiena, ma non potrà mai essere usato in sostituzione del lavoro di riunione ai fini del suo sviluppo muscolare che segue sempre il lavoro di decontrazione iniziale; in effetti i muscoli si avvantaggeranno del lavoro preparatorio di allungamento, prima di cimentarsi in esercizi di contrazione insiti nella riunione.

È evidente quindi che esercizi con il cavallo in attitudine di “long and deep” saranno molto utili per preparare preliminarmente la muscolatura del cavallo alla fase seguente di contrazione muscolare che è invece richiesta negli esercizi di riunione.

Nella effettuazione del lavoro di “long and deep” esistono sostanzialmente due linee di pensiero; entrambe comunque si basano sul presupposto che vi sia un’attività dei posteriori che origina il movimento del cavallo dall’indietro in avanti. Infatti, grazie alla spinta in avanti e sotto la massa dei posteriori stessi, la schiena del cavallo si alzerà (si osservi una frusta da dressage: spingendo il manico con una mano verso l’altra mano che fa da soffice barriera alla punta si noterà che la parte centrale si alza così come fa la schiena del cavallo).

La differenza fra le due scuole di pensiero sta sostanzialmente nella posizione della testa del cavallo e dell’incollatura; in una scuola di pensiero basta in realtà che il cavallo porti la testa in basso con l’incollatura allungata. La richiesta fondamentale è quindi che l’incollatura stia più in basso rispetto al garrese considerando che, quando l’incollatura si abbassa, la parte della schiena dietro il fulcro dell’arco costituito dal garrese si innalza.

La mia opinione su tale metodo è che comporti uno svantaggio considerevole, consistente nel fatto che il cavallo, con questo sistema, è in grado di allungare l’incollatura senza in realtà effettuare un vero “stretching” sulla sommità del collo. Quindi a ben vedere il cavallo allunga l’incollatura e può tenerla anche in basso, ma in realtà così facendo finisce con il favorire lo sviluppo dei muscoli antagonisti dell’incollatura stessa.

Con la seconda scuola di pensiero, il cavallo non ha proprio necessità di restare così in basso con l’incollatura (ma può benissimo esserlo); tuttavia al cavallo viene richiesta un po’ più di flessione e cioè di essere più “rotondo”; ciò vale a dire che il naso del cavallo deve tendere verso l’interno con il risultato che la testa del cavallo potrebbe risultare, per qualche breve periodo, leggermente dietro la verticale.

Normalmente io invito i miei allievi a capire la diversa percezione degli effetti insiti in queste due tecniche, facendoli sedere su una sedia di fronte ad un tavolo o ad un’altra sedia e invitandoli a posare, allungando la schiena, la propria testa sullo spigolo del tavolo; una volta facendogli toccare lo spigolo del tavolo con il mento, per sentire così quali muscoli sono in “stretching” (allungamento) e quali invece sono bloccati, mentre subito dopo faccio ripetere la stessa esperienza facendo toccare lo spigolo del tavolo con la nuca per far loro sentire come non solo tutta la schiena, ma anche i muscoli superiori del collo vengano così sottoposti a “stretching”.

A mio avviso quando al cavallo viene richiesto di lavorare con questo secondo sistema, l’incollatura, in questa posizione, assicura lo “stretching” anche del sistema legamentoso della parte superiore dell’incollatura stessa fino alla nuca. In effetti, quando il cavallo è leggermente flesso alla nuca, questa azione di leva aggiunge un maggiore effetto benefico a tutto il sistema legamentoso inerente. Vorrei mettere in evidenza l’importanza delle affermazioni di cui sopra, e cioè “leggermente flesso”; la cosa più importante infatti è che il cavallo si allunghi e mantenga la forma di un arco ed è in effetti questa attitudine che permette alla parte superiore dell’incollatura di allungarsi dal garrese e consentire alla schiena di alzarsi dietro il garrese stesso.

Un altro sistema che io uso per far sentire al cavaliere l’effetto dell’innalzamento della schiena consiste nel piazzarmi davanti al cavallo e in maniera giocosa (ad esempio con dello zucchero o carote) prendere le orecchie del cavallo, giocarci insieme per invitarlo a portare la testa verso il basso allungando così l’incollatura e chiedendo contemporaneamente al cavaliere se sente l’innalzamento della schiena ogni volta che il cavallo abbassa l’incollatura e la testa verso il basso, per l’appunto, con una leggera flessione della nuca stessa (cavallo “rotondo”).

Con questo sistema, si può dimostrare al cavaliere che schiena e incollatura del cavallo sono connesse attraverso il garrese.

Talvolta, per brevi periodi di tempo, il cavallo potrebbe risultare leggermente dietro la verticale. Questo non è un grande problema purché i posteriori siano attivi e ingaggiati sotto la massa e siano richiesti, attraverso appropriati esercizi, di portar gradualmente peso e cioè, in ultima analisi, di riunirsi: il treno anteriore del cavallo, grazie a tali azioni, si rileverà con il garrese che tenderà ad alzarsi e l’incollatura risulterà arcuata, assumendo quella posizione corretta che si vorrebbe idealmente vedere nei rettangoli di gara, con la nuca il punto più alto e il naso leggermente avanti la verticale.

Non mi stancherò di ripetere che il lavoro di “long and deep” debba essere effettuato con un uso delle redini il più leggero possibile per due ragioni. La prima è che con un uso leggero delle redini il cavallo non può cercare il supporto delle mani del cavaliere. (Continuerò a ribadire all’infinito il concetto che per “tirare” occorre essere in due). Ciò contribuirà a sviluppare andature elastiche e risulterà fondamentale nel far si che il cavallo impari a portarsi da sé perfino in questa posizione.

Questo è, a mio avviso, la chiave per controbattere la principale critica a tale lavoro e cioè che i cavalli finiscano col trasferire peso sulle spalle.

In effetti sebbene l’equilibrio venga spostato nella direzione opposta rispetto al lavoro di riunione, il cavallo non peserà sulla mano, se montato in questa maniera.

Con tatto, esperienza e gradualità, il cavallo ne beneficerà psicologicamente e si svilupperà fisicamente, ma più di tutto, diverrà responsabile del suo equilibrio con completa indipendenza dalle mani del cavaliere in tutte le andature.

In effetti, uno dei miei concetti favoriti, che non mi stancherò mai di ripetere, è il seguente: “deve essere il cavallo a portare se stesso e il cavaliere e non quest’ultimo a dover portare il cavallo”.

Così facendo il cavallo imparerà a portarsi da se e svilupperà nel contempo rispetto e confidenza verso il cavaliere.

Sicuramente questo tipo di lavoro, se effettuato preliminarmente e intervallato con il lavoro di riunione, aiuterà la schiena del cavallo a divenire più forte e più elastica.

La seconda ragione per montare con redini estremamente leggere è che il cavaliere non deve forzare il cavallo in una situazione di eccessiva flessione, come avviene per esempio con l’uso delle redini di ritorno; ciò finirebbe con il causare problemi di ordine fisico e porterebbe sicuramente all’effetto opposto rispetto a quanto si è cercato di raggiungere; infatti il cavallo tenderà, nella migliore delle ipotesi, a irrigidirsi.

Spesso, purtroppo, l’esecuzione pratica di tale lavoro viene interpretata in maniera non corretta; ho infatti avuto modo di osservare, in svariate occasioni, che tale tipo di lavoro riceve una variante per cui l’atteggiamento che ne risulta non può considerarsi né lungo né rotondo, né in avanti né in basso. In effetti il cavallo viene dietro la verticale con l’incollatura accorciata; occorre rammentare che solo una incollatura distesa potrà tenere la sua connessione con tutto l’intero corpo del cavallo, il quale si tenderà come un arco, non assorbendo gli aiuti delle redini solo nel collo come avviene invece con testa dietro la verticale e incollatura accorciata. Tale effetto controproducente viene poi demoltiplicato in maniera esponenziale tramite l’uso delle redini di ritorno!

Mi sono sforzato in tante occasioni di spiegare che non esiste nessuna logica spiegazione per questo tipo di lavoro. Cavalli addestrati con questo sistema, allorché richiesti di usare i posteriori negli esercizi di grande riunione, come il piaffé per esempio, non sono in grado di rispondere a tale richiesta che risulterà per loro improba. Questa non è una semplice coincidenza: in effetti il cavallo irrigidirà la schiena e ciò che sembra apparentemente essere stato ottenuto con l’uso delle redini di ritorno, (cioè il cavallo “formalmente” rotondo), in realtà si rivela come un lucchetto che chiude l’area lombo-sacrale e non consente al cavaliere, tramite le sue ossa pelviche, di sentire l’innalzamento della schiena.

Ho cercato inutilmente spiegazioni plausibili al perché alcuni istruttori continuano ad usare tale sistema. Alcune volte mi sono reso conto che, tali cavalieri, forse avendo un certo timore di montare cavalli esuberanti, tengono testa e incollatura del cavallo retratte tramiti redini di ritorno per un lungo periodo di tempo, allo scopo di ottenere una assoluta sottomissione. Essendo anche giudice di dressage, mi rendo conto che l’assoluta sottomissione potrebbe anche magari permettere di non commettere errori gravissimi in gara o di controllare cavalli non agli ordini, ma con il risultato che questo tipo di lavoro somigli più alla lotta greco-romana o al wrestling, dove una delle due parti deve sottomettersi e arrendersi al vincitore, piuttosto che al dressage classico, che trova nel “HAPPY ATHLETE” la sua migliore annunciazione.

Il risultato è sempre molto modesto dal punto di vista qualitativo e dovrebbe essere giustamente sanzionato da giudici esperti con valutazioni inesorabilmente mediocri.

Quanto sopra non implica che tutti i cavalli si comportino come delle educande e che non abbiano mai bisogno di una correzione decisa; a tal proposito faccio spesso riferimento al rapporto che dovrebbe esistere tra padre e figlio e cioè di completa amicizia, ma dove il padre è pur sempre il genitore responsabile dell’educazione corretta del proprio figlio.

In ogni caso, basare il proprio sistema di training sul dominio fisico del cavallo, attuato tramite redini di ritorno o altri mezzi coercitivi, non consentirà lo sviluppo di muscolature armoniche ed elastiche, col risultato di produrre, talvolta, prestazioni (forse!) senza errori formali, ma sicuramente senza alcuna espressione. Il famoso cavaliere tedesco H. Schmidt, mi ha recentemente detto: un fuoriclasse non verrà mai fuori da questo tipo di lavoro e le redini di ritorno non hanno mai prodotto un fuoriclasse.

A tal proposito altri miei grandi maestri solevano dire: “le redini di ritorno possono essere usate solo da un artista, ma un artista non ha bisogno di redini di ritorno” (H. Chammartin) ovvero “le redini di ritorno sono come un rasoio in mano a una scimmia” (G. Theodorescu) o ancora “la Scorciatoia sulla via dell’inferno” (Dr. R. Klimke).

Più i cavalieri tengono la testa del cavallo retratta e in basso, più indeboliscono i muscoli corrispondenti dell’incollatura, pensando quindi di rendere maneggevoli i propri cavalli.

Chiunque di noi avesse preso lezioni di salto, finanche da un istruttore non particolarmente famoso, avrà notato che egli avrebbe avuto molto da ridire se all’atto del salto il cavaliere fosse rimasto dietro al movimento del cavallo, tirando sulle redini allorché questi cercava di basculare per usare la propria schiena arrotondata nella posizione ad arco nel salto.

Bene, questi cosiddetti istruttori di dressage insegnano di fatto ogni giorno proprio questo, cioè a tirare sulle redini e bloccare così il tentativo del cavallo di basculare; per l’appunto accorciando l’incollatura del cavallo verso il petto.

Ad un attento osservatore, in realtà lo stesso tipo di risultati saranno evidenti anche nel dressage, ma gli effetti negativi che ne derivano sono completamente ignorati da tanti cavalieri o forse gli stessi, semplicemente, non sono in grado di osservarli e cioè: incollature rigide, schiene abbassate ma, più di tutto, sarà evidente il non aver compreso che la vera riunione proviene dalla possibilità del cavallo di ingaggiarsi sotto la massa con i suoi posteriori e ciò potrà solamente avvenire attraverso una completa estensione della linea superiore del cavallo.

Per concludere quindi il lavoro di “long and deep” è primariamente un esercizio di “stretching” (allungamento), che implica movimenti lunghi e lenti del cavallo e ciò favorirà confidenza e fiducia nel proprio cavaliere e la sua decontrazione. Tale lavoro deve essere accompagnato sempre da un chiaro movimento in avanti dei posteriori, ma, come ho detto sopra, con un uso delle redini che non costringa l’incollatura ad accorciarsi portando la testa del cavallo verso il suo petto. Se ben eseguito, tale lavoro costituisce una magnifica controbilanciatura fisica e psichica all’impegnativo lavoro di riunione. Lo “stretching” preliminare servirà quindi a preservare flessibilità ed elasticità di legamenti, muscoli e tendini e schiena.

Va osservato che ogni cavallo ha caratteristiche differenti e richiede un grado diverso di abbassamento dell’incollatura. Tra i tanti cavalli che ho avuto in training con mia figlia Valentina, questo lavoro non viene effettuato in maniera univoca per tutti i cavalli. Per esempio per un cavallo che ha nel tempo sviluppato un sistema muscolare invidiabile e una schiena veramente forte, questo tipo di lavoro noi lo pratichiamo principalmente al passo, seguito poi da un lavoro al trotto con il cavallo “rotondo”, ma senza eccessivo abbassamento dell’incollatura.

A volte qualche contrattempo potrebbe palesarsi anche con cavalli che tendenzialmente portano il peso sugli anteriori; in tal caso, occorrerà operare una variante, per esempio effettuando tale lavoro al passo, mentre per altri cavalli (in genere con molto sangue) lo stesso lavoro risulterà più efficace se effettuato al galoppo (con folate lunghe e lente).

In conclusione si può affermare che il lavoro di “long and deep”, se ben attuato, costituisce un mezzo formidabile per preservare la flessibilità e l’elasticità dei tendini, della schiena, dei muscoli e dei legamenti del cavallo e risulterà di grande ausilio nella fase di decontrazione fisica e psichica del cavallo stesso favorendone così la sua attenzione e fiducia verso il proprio cavaliere.

I Giovani Cavalli

Cap. 6 CLICCA QUI

Cap 5 CLICCA QUI

Cap 4 CLICCA QUI

Cap 3 CLICCA QUI

Cap 2 CLICCA QUI

Cap 1 CLICCA QUI

Ti potrebbe anche interessare...

Lascia un commento