Dressage, la disciplina che non avrebbe dovuto esistere

di Umberto Martuscelli

Esiste una ragione molto precisa per cui i cavalieri italiani nel periodo compreso tra l’affermazione del sistema naturale di Federico Caprilli e l’inizio della Seconda guerra mondiale hanno ottenuto eccellenti risultati in salto ostacoli e in completo ma uno zero assoluto nella disciplina del dressage. E anzi: lo zero assoluto in dressage si protrae anche oltre la fine della Seconda guerra mondiale, cioè fino al momento in cui abbiamo avuto la prima presenza azzurra individuale a un’Olimpiade grazie a Fausto Puccini a Montreal nel 1976, mentre la prima partecipazione in assoluto di una squadra italiana in un campionato internazionale è avvenuta ad Aquisgrana nel Campionato d’Europa del 1983 con Daria Fantoni, Vincenzo Truppa e Fausto Puccini.

Perché dunque i cavalieri italiani hanno ottenuto grandi successi in salto ostacoli e in completo fin dall’inizio del Novecento (la prima Coppa delle Nazioni di salto ostacoli della sua storia l’Italia l’ha vinta nel 1909 in Spagna a San Sebastian, tanto per dire… ) e invece in dressage il nulla più totale, nonostante una grande e prestigiosa tradizione storica dell’Italia nell’equitazione classica, quella pre-caprilliana? La ragione è molto precisa e molto semplice nello stesso tempo: il dressage non doveva esistere. Tutto qui.

Secondo i dettami dell’equitazione naturale di Federico Caprilli, ma soprattutto secondo la mentalità e la visione degli uomini che dopo la morte di Caprilli hanno avuto la responsabilità di divulgare il geniale metodo del capitano livornese, il dressage rappresentava quanto di più contrario potesse essere praticato rispetto al sistema per l’appunto cosiddetto naturale. Nel corso degli anni Trenta, per esempio, la questione più che tecnica e sportiva sembrava essere davvero etica (relativamente al mondo dello sport equestre, ovviamente): il dibattito pubblico tra quelli che potrebbero essere definiti i caprilliani integralisti (Caprilli ha detto che si fa così e così si deve fare: fine della questione… ) e i caprilliani innovatori (coloro i quali ritenevano che i principi del sistema naturale potessero essere integrati con quanto di buono proveniva dalla cultura dell’equitazione di scuola) era accesissimo. E lo era fino al punto di mettere in discussione perfino il contenuto delle riprese di addestramento previste per le gare di completo: di dressage in quanto disciplina olimpica – cioè programmata nel calendario agonistico dei Giochi – nemmeno si parlava, era assolutamente e totalmente fuori discussione…

Caprilli con Piccola Lark

Il culmine di tale tensione ‘culturale’ anche a livello internazionale lo si è raggiunto tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta. La Fise presieduta da Piero Dodi – ancora denominata Società per il Cavallo Italiano da Sella, insieme a Federazione Italiana Sport Equestri – riteneva che il programma della ripresa di addestramento della gara olimpica del completo (introdotta a partire dal 1924: in precedenza infatti il programma del completo ai Giochi prevedeva solo le prove di campagna e di salto ostacoli) fosse volutamente penalizzante nei confronti dei cavalieri italiani. Il ragionamento era semplice, qui esposto in via sintetica ed essenziale: la Fei sa che i cavalieri italiani in nome della purezza del sistema naturale non praticano il dressage, dunque propone una ripresa di addestramento alle Olimpiadi di completo che presenta elementi di vero e proprio dressage in modo da metterli in difficoltà, scongiurando così l’ipotesi che in virtù delle loro superiori capacità in salto ostacoli e in cross possano avere facile successo sugli avversari.

Piero Dodi stesso scrive sulle pagine del Cavallo Italiano (l’organo di informazione della Società/Fise) nell’agosto del 1928: “Nel 1920 nel concorso completo di equitazione non era affatto compresa una prova di dressage (la prova di addestramento o dressage che dir si voglia è stata introdotta nel programma olimpico del completo a partire dal 1924, n.d.r.). Dopo le Olimpiadi, nelle quali noi, delle nazioni allora uscite dalla guerra, ci classificammo i migliori, il Comitato Internazionale Equestre volle introdurvi una prova di dressage, alla quale dopo il 1924 si diede ancora maggiore importanza aumentandone il coefficiente. Fu questa un’arma legale, sebbene arbitraria, che tutti concordi crederono di poter usare contro di noi che ai loro occhi – nonostante la manifesta inferiorità dei nostri cavalli – apparivamo come i più temibili cavalieri di campagna. La nostra opposizione fu inutile, perché nella Federazione Equestre Internazionale è la Francia che comanda attraverso il segretario generale, l’abilissimo Comandante Héctor, che maneggia a suo talento le riunioni, siano esse presiedute da un suo connazionale o da un altro presidente qualunque. Fin da allora per noi si imponeva la questione di non partecipare (alle Olimpiadi di completo, nd.r.), non già di piegarci a delle ingiuste e parziali esigenze altrui”. Come si vede, un messaggio nemmeno troppo… cifrato!

Tutto questo Piero Dodi lo scrive dopo le Olimpiadi di Amsterdam 1928. Due anni più tardi la questione viene ripresa con altrettanta esplicita chiarezza dal barone Alessandro Salvadori von Wiesenhof, uomo dalla straordinaria longevità e che proprio al dressage si appassionerà moltissimo praticandolo attivamente in sella ben oltre i suoi 90 anni (sarà a lungo presidente dello storico Circolo Ippico Lombardo di Milano), il quale scrive sul Cavallo Italiano di settembre 1930 in previsione delle Olimpiadi di Los Angeles 1932: “E ora si presenta questa domanda. È o non è opportuna la nostra partecipazione alla prova completa di equitazione nel 1932? Se essa fosse affermativamente decisa, si dovrebbe fin d’ora, senza perdere un minuto, cominciare una accurata e intensa preparazione e selezione di cavalli e di cavalieri, nonché di… giudici capaci di giudicare cogli occhi e coi cervelli dei futuri giudici di Los Angeles. Oppure non sarebbe più logico e giusto il rinunciare di partecipare a una simile gara, finché la Federazione Internazionale Equestre si ostina a dare una decisiva importanza al dressage, giudicato con criteri assolutamente contrari ai principi del nostro metodo? La decisione spetta a chi è competente e a chi è a capo del nostro sport. Ma sarebbe bene fin d’ora riflettere e ponderare molto su questo punto per non incorrere in delusioni che sarebbero certo inevitabili”.

Sempre nel 1930 Francesco Formigli (grande campione in salto ostacoli tra le due guerre mondiali, poi presidente della Società Ippica Romana subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale e infine presidente della Fise dal 1959 al 1960) pone alcuni interrogativi retorici – e polemici – molto chiari a proposito della presenza del dressage nella gara olimpica di completo scrivendo sul numero di dicembre del Cavallo Italiano di quell’anno: “Ora, perché sostenere che nel 1932 i cavalieri italiani debbano partecipare a una gara che comprende un saggio, sia pur facile, di equitazione di scuola? E’ cessata l’incompatibilità di questa equitazione con quella sancita dal nuovo sistema italiano? Rispettato con tanta intransigenza all’inizio, ha questo sistema demeritato col tempo? Se oggi noi fossimo meno intransigenti, non saremmo come i rinnegatori di tutte le lotte e di tutte le vittorie, attraverso le quali il nuovo sistema raggiunse tanto splendore e tanta perfezione? E che importa se ogni quattro anni noi dovremo disertare un campionato olimpionico? L’equitazione italiana, che da anni si afferma trionfalmente, senza un attimo di sosta, in tutti i campi del mondo, ha forse bisogno di questo collaudo olimpionico?”.

In effetti l’Italia non parteciperà alla gara olimpica di completo ai Giochi di Los Angeles 1932 (ma nemmeno a quella di salto ostacoli). Non tanto per le questioni di principio di cui abbiamo letto, quanto per la difficoltà di organizzare una trasferta così complicata – per allora – e costosa. E come l’Italia tanti altri Paesi europei (parliamo sempre di sport equestri). Tuttavia la tensione tra Italia e Fei sul tema del dressage nell’ambito del programma olimpico del completo permane, per trovare infine una certa… distensione nel 1933 in occasione del congresso della Federazione Equestre Internazionale che si svolge a Parigi dall’8 all’11 novembre.

Scrive il Cavallo Italiano (cioè la Fise, quindi quasi certamente Piero Dodi) nel numero di quello stesso mese: “(…) Il Congresso è passato all’esame delle proposte che la Feder. Italiana, Polacca e Francese avevano avanzato sul Concorso Completo di Equitazione. Dietro invito del Presidente, il Presidente della Federazione Italiana richiamandosi alle sue proposte esponeva il punto di vista della sua federazione sulla prova di dressage del Concorso Completo. Ne seguiva una lunga e animata discussione dopo la quale il Congresso decideva che le richieste italiane fossero passate all’esame della Commissione di Dressage alla quale venivano aggiunti il Delegato Italiano e Polacco, stabilendo anche che il risultato dei lavori della Commissione verrebbero sottomessi al prossimo Congresso primaverile”.

Poi il passaggio più significativo, riportando quanto discusso dalla Commissione di Dressage dopo che il delegato polacco e quello francese avevano ritirato le loro proposte dichiarando di aderire completamente a quella italiana, quindi di fatto discutendo della sola proposta italiana: “Dopo breve discussione, presa in esame l’attuale prova di dressage del Concorso Completo di Equitazione, la Commissione di Dressage concordemente decideva di proporre al prossimo Congresso le seguenti modificazioni: 1) Soppressione dei due movimenti d’appoggio al passo e al trotto che saranno sostituiti dal passo naturale e dal trotto ordinario. 2) Sostituzione per tutte e tre le andature dell’espressione “rassembler” con l’altra “ralentir” specificandosi che con questo termine si intende solo una modificazione di velocità dell’andatura e non un cambiamento di equilibrio del cavallo. 3) Tutte le partenze da piè fermo, al trotto e al galoppo, vengano invece eseguite col passaggio successivo e rapido al passo, al trotto e al galoppo”.

Prosegue poi l’articolo del Cavallo Italiano: “I giornali hanno già reso ampiamente conto delle discussioni svoltesi a Parigi e dei risultati ottenuti e che dovrebbero ritenersi definitivi giacché senza recar loro una immeritata offesa non si può supporre che i componenti della Commissione di Dressage che hanno unanimi deliberato la proposta sopra indicata si contraddicano con un voto contrario in seno al Congresso, nel quale possono da soli ottenere la maggioranza dei suffragi. (…) Le conclusioni alle quali si è giunti non rappresentano la vittoria di una tendenza o di una scuola piuttosto che di un’altra perché sono state dettate da uno spirito di larghezza e di giustizia con il quale si è voluto onestamente ammettere che i Cavalieri che non praticano l’equitazione classica possano disputare in condizioni di uguaglianza con gli altri il concorso completo olimpionico”.

Infine la conclusione importantissima: “È per noi un dovere di riconoscere pubblicamente questa larghezza di giudizio dei delegati stranieri, e di rendere omaggio al loro elevato spirito di giustizia che permetterà all’Italia e alla Polonia di partecipare alle Olimpiadi del 1936 dalle quali avrebbero altrimenti dovuto astenersi”.

Ecco la storia della presenza del dressage nell’ambito del programma olimpico del completo. Il ruolo dell’Italia è stato dunque estremamente significativo, addirittura determinante per orientare la ripresa nel rettangolo a cinque cerchi verso contenuti più attinenti a un lavoro di ‘addestramento’ (così infatti verrà definita a lungo la prima prova di qualunque completo in Italia) che di dressage.

E il… dressage vero e proprio? Beh, prima di poterne parlare nel nostro Paese in relazione all’impegno olimpico come abbiamo visto è stato necessario attendere una buona quarantina d’anni rispetto agli eventi di cui s’è detto. Meglio tardi che mai… questo è sicuro: ma è evidente come la disciplina del dressage in Italia abbia subito un ritardo enorme nella formazione di se stesso come specialità olimpica a partire dal periodo successivo all’avvento sulla scena del sistema di equitazione naturale di Federico Caprilli.

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