A tu per tu con Leonardo Tiozzo

di Redazione

Romano, Leonardo Tiozzo è in rettangolo da che era un ragazzino. Con i pony. E nel perimetro della disciplina del dressage è cresciuto e si è evoluto. Oggi, ventisettenne, è direttore tecnico del Centro Ippico Antica Scuderia, alle porte della capitale, dove si allena. Dressage.it l’ha intervistato.

Nella sua carriera, chi sono stati i trainer che l’hanno seguita?

«Nel mio percorso ho cercato di imparare da più trainer possibile. Partecipando a più stage possibili. Sicuramente i tecnici che hanno lasciato il segno e continuano a farlo nella mia equitazione sono Jurgen e Christoph Koschel, Arnd Erben e Vincenzo Truppa».

Ci può raccontare come e perché l’equitazione è entrata nella sua vita?

«I cavalli sono diventati parte della mia vita già da piccolo, all’età di 5 anni, quando iniziai spesso ad accompagnare mia mamma in gara (anche lei montava in dressage). Da lì ho cominciato sempre di più a vivere questo splendido animale e a innamorarmi di questa meravigliosa disciplina. Passione che si è intensificata sempre di più quando ho iniziato il mio percorso agonistico nel cento ippico che possedeva la mia famiglia».

Che cosa ha fatto scattare la ‘molla’ del dressage?

«La molla del dressage è scattata praticamente subito fin dall’inizio del mio percorso equestre, essendo una disciplina che mi sono trovato a seguire fin da subito da molto vicino. Questo sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale. Inoltre mi sono sempre molto appassionato all’addestramento del cavallo e quale disciplina lo esprime di più se non il dressage?».

Chi è stato il suo primo istruttore e cosa ha rappresentato per la sua formazione tanto in sella quanto in scuderia?

«Il mio primo istruttore è stato mia mamma, Maria Cristina Proietti, che è sempre stata il mio punto di riferimento in sella e in scuderia. Tanta parte della mia carriera la devo a lei e a mio papà, cavaliere anche lui ma in salto ostacoli.

Tra i suoi colleghi, c’è un cavaliere/amazzone che prende come esempio e per quali ragioni? (Lavoro, gestione gare, gestione cavalli…)

«Ci sono moltissimi cavalieri e amazzoni che ammiro e cerco di prendere come esempio. Ognuno dei quali rappresenta delle qualità che vorrei sviluppare o migliorare».

C’è un cavallo che sognerebbe avere in scuderia?

«Forse è un po’ scontato ma… mi piacerebbe molto avere Dalera di Jessica von Bredow-Werndl».

Parlando dei suoi risultati, qual è quello che sente di voler raggiungere a ogni costo?

«Il sogno di tutti gli atleti credo…. Le Olimpiadi. Dopo aver gareggiato rappresentando l’Italia ai WEG 2014 e agli Europei di Aachen 2015, coronerebbe il sogno di completare la triade dei grandi eventi per un atleta».

Qual è la sua principale preoccupazione, se ne ha una, quando entra in rettangolo?

«Quando ero più piccolo avevo molte preoccupazioni prima di entrare in rettangolo. Ora, nel tempo con l’esperienza, ho imparato a gestire sempre di più le tensioni, e utilizzarle per essere più concentrato sul grafico che mi aspetta una volta eseguito l’alt iniziale».

Quali sono i suoi cavalli in lavoro e quali sono le loro caratteristiche?

«In questo momento ho la fortuna di avere un buon numero di cavalli in lavoro in scuderia. Sono tutti diversi. Ognuno ha la propria personalità e la propria attitudine. Per me è sempre un piacere lavorarci giornalmente».

Qual è il cavallo sul quale punta per il futuro? Ha un soprannome di scuderia?

«In questo momento non ho un cavallo di punta. Sono in una fase, per così dire, di riorganizzazione in scuderia, dopo sfortunatamente aver perso la mia cavalla da GP Karina a causa di un aneurisma. Ho dei buoni cavalli che presto potrebbero entrare in GP e per questo colgo l’occasione per ringraziare i proprietari che hanno avuto fiducia in me nell’affidarmeli».

Cosa significa, dal suo punto di vista, una carriera professionale all’estero?

«Una carriera/esperienza all’estero è, credo, fondamentale per chi vuole intraprendere il percorso di atleta professionista nel mondo equestre. Ti arricchisce veramente tanto e permette di confrontarti con realtà e filosofie diverse che ti formano per tutta la vita».

Qual è l’aspetto del dressage, come disciplina, che le piace di più e quale di meno?

«L’ aspetto che più prediligo di questa disciplina è senz’altro l’addestramento e il feeling che si crea con il cavallo durante il lavoro quotidiano. Amo il dover cercare per ogni cavallo diverso la soluzione più appropriata per arrivare al completamento dell’esercizio avvicinandomi il più possibile all’eccellenza. L’aspetto che mi piace un po’ meno è forse in un certo senso l’essere una disciplina a giudizio. Anche se in realtà è proprio grazie al parere del giudice che abbiamo la spinta necessaria a migliorarci sempre di più e non accontentarci mai».

Un pensiero su cosa potrebbe suggerire alla Fise per migliorare la disciplina e il livello internazionale?

«Credo che la Fise per migliorare questa meravigliosa disciplina debba continuare a investire sulla formazione degli istruttori che sono la base trainante di tutto il settore. A loro è affidata la crescita dei futuri campioni. È stato fatto tanto in questo senso ma non bisogna mollare».

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